
Con la sentenza EU:C:2015:485 (C- 580/13) del 16/7/15 (ultimo deposito prima della lunga pausa estiva) la CGUE ha affrontato il bilanciamento della tutela della proprietà intellettuale col segreto bancario, sancendo che la normativa nazionale che consente di opporlo, in maniera incondizionata ed illimitata, alle banche, nell’ambito dell’art. 8 §.1 Lett. C Direttiva 2004/48/CE (rispetto dei diritti di proprietà intellettuale) relativo alle informazioni relative al nome e all’indirizzo del titolare di un conto, osta col diritto comunitario e nello specifico con l’art. 8 §.3 Lett. E di tale Direttiva. Le banche non possono rifiutarsi di fornire le generalità dei titolari dei conti se hanno violato online il copyright. Nella fattispecie il provento dell’illecito era stato versato sul conto di chi, tramite un sito specializzato, aveva venduto merce contraffatta, ma ciò pacificamente vale anche nei casi di chi l’acquista o scarica downloads da siti pirata o che violano il diritto d’autore altrui.
Si noti come la giurisprudenza, soprattutto quella della CGUE, stia ampliando l’ambito di applicazione della tutela della proprietà intellettuale: il diritto d’autore deve essere rispettato anche dai siti accessibili gratuitamente e soprattutto da quelli che si occupano di e-commerce: sono tenuti ad ottenere una regolare licenza (rectius permesso) per la vendita dei beni coperti da copyright. È questo il caso trattato dallaEU:C:2015:315 (C-516/13) del 13/5/15: il sito che vende mobili online, siano essi originali o mere copie (come nel caso in esame) è obbligato ad ottenere il preventivo consenso del titolare (o dei titolari) del diritto d’autore e dei connessi diritti economici e di sfruttamento.
La vertenza risolta dalla CGUE nella sentenza annotata sorge dalla pregiudiziale sollevata da una Corte tedesca chiamata a decidere la lite tra due società. L’attrice, che produce e distribuisce profumi con l’esclusiva su una nota marca, ne acquistò un flacone su una piattaforma online di aste pubbliche. Versato il corrispettivo, effettuò i dovuti riscontri rilevando che il prodotto era contraffatto. Si rivolse all’intermediaria della vendita per ottenere le generalità del titolare dell’account che, usando un nickname, aveva offerto al pubblico la merce contraffatta. Questa persona ammise di essere il titolare dell’account, ma non l’effettivo venditore, sì che avvalendosi del diritto al silenzio per non autoincriminarsi, rifiutò di fornirne le generalità e di dare altre informazioni. L’acquirente allora si rivolse alla banca per ottenere le generalità del venditore intestatario del conto corrente su cui aveva versato l’importo, la quale si rifiutò opponendo il segreto bancario. La battaglia legale intrapresa dalla ditta attrice è stata lunga e con esito incerto: in primo momento fu ingiunto all’istituto di fornire queste informazioni, ma, poi, in appello la decisione fu annullata perché la richiesta era infondata e contraria alla normativa nazionale in materia.
Come sopra rilevato questo rifiuto è illecito, tanto più che il copyright rientra nei diritti di proprietà tutelati dagli art. 17 §.2 e 47 della Carta dei diritti fondamentali (Convenzione di Nizza): l’interessato dovrebbe godere a pieno del diritto d’informazione per l’effettività del ricorso volto a tutelare i suoi interessi economici connessi alla salvaguardia della proprietà intellettuale, che rientra a pieno titolo nel più ampio concetto di proprietà privata tutelata da queste norme (art. 1 protocollo 1 e 17 Cedu). In breve la lite si fonda sul bilanciamento della tutela della privacy, id est di dati sensibili come appunto quelli garantiti dal segreto bancario e quella del diritto d’autore.
Il diritto di perseguire e sanzionare chi ha violato il diritto d’autore online deve essere effettivo e, quindi, non possono essere opposti né l’anonimato né il segreto bancario: in questi casi la privacy del trasgressore soccombe alla tutela del copyright.
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